Entrò in una tabaccheria cercando di tenere la testa bassa, comprò della carta da lettere, una biro ed un francobollo; appoggiato ad una piccola mensola scrisse all’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo: “L’antica profezia, quella incaratteri gotici su quel libro della biblioteca di Ruth Mandera si è avverata ed io tremo di paura; non voglio essere cacciato da casa mia, insultato, deriso, non voglio che si parli male di me o sottovoce borbottando quando passo. La Mandera stessa aveva dato segni di volersi confidare e liberare dopo che si era inebriata col suo stesso assaggio di foglie di Berberis apparentemente così innocente; ma non lo fece per quanto ne sappia; non solo, lei avrà notato quel ragazzo forzoso che disegnava ai piedi dell’albero cotogno,  il contrasto tra la possanza del suo corpo da boscaiolo del Vermont ed il tratto leggero della sua Staedtler quando  sfiorava il Fabriano4? Ricorda, chiesi cosa stesse facendo? Ricorda come la Mandera fosse stata evasiva roteando leggermente gli occhi verso il cielo, inspiegabilmente chiudeva le palpebre e faceva schioccare le dita (pollice e mignolo della mano destra)?   Ebbene, dopo che il gruppo di visitatori  si fu allontanato affondando lievemente i piedi imbabbucciati di carta velina bianca sotto agli alberelli di Crataegus, ho raggiunto il disegnatore alle spalle: non disegnava mele cotogne ma tracce di un labirinto attraverso il quale si poteva afferire ad un passaggio segreto che portava alla biblioteca personale della Mandera, una porta sul tronco con incise le iniziali R.M. lo confermava, sì, a tutta prima sembrava un albero di mele cotogne, ma, se si osservava più attentamente,  il tronco era il corridoio principale sotterraneo e i rami i vari passaggi minori che da esso si dipartivano. Ho fotografato il disegno, ricorda? l’ultima foto del rullino…ma  non posso continuare, le forze estreme si sono scatenate. Forse non mi resta che aspettare e sperare, c’è un’ultima possibilità di fermare il disastro, che durante questa notte eh,..badi bene,..solo durante questa notte si possa guadagnare un’ora di tempo! Se ciò per qualsiasi motivo non fosse possibile, sarà la fine e, se così sarà, mi raccomando a lei , forse un rifugio
segretissimo esiste ancora nelle viscere della terra e se c’è, so che lei lo conosce…addio, solo se la notte ci sarà propizia ci potremo risentire.  Sportini”. E’ chiaro che una lettera simile non poteva che essere oscura, lui sapeva di stare male, sapeva di aver cambiato colore della pelle, sapeva che i suoi vicini lo volevano fuori dal condominio e che in quel momento l’unica cosa che gli era chiara era la volontà di scomparire per sempre e non pensarci più. Scrisse a tratti tremanti un indirizzo e imbucò la missiva, poi, rasente i muri si diresse verso casa favorito dall’oscurità. Nell’atrio e per le scale non incontrò anima viva e, finalmente, dopo ore, riuscì a raggiungere il suo appartamento lassù in alto sui tetti della città. Quando riuscì a chiudere la porta alle sue spalle, si spogliò al buio e si gettò nel letto. Mentre si addormentava intontito dal freddo e dalla stanchezza patiti pensò che stava sognando, che quello che aveva vissuto era stato un incubo e che l’indomani al risveglio, con una buona tazza di caffè tutto sarebbe tornato come prima. La notte fu ricca di sogni. Alle prime luci dell’alba quando il chiarore trapelava dalla saracinesca appena socchiusa, un intenso aroma di caffè lo raggiunse quando ancora ad occhi chiusi si stava chiedendo cosa ci facesse a letto vestito con la testa dalla parte dei piedi, ma, ancora di più, cosa ci facessero davanti ai suoi occhi le gambe della donna del tenente francese: ne seguì la linea a partire dalla punta delle scarpe di diverso colore oltre le ginocchia e la vestaglia viola e su ancora; lei si abbassò con studiata lentezza verso di lui -signor Sportini, prenda una tazza di buon caffè, le farà bene, non ha mangiato niente ieri sera!- La sua voce melodiosa lo aveva svegliato del tutto ma lo lasciò navigare sopra un fiume leggero.

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